Se esistesse un dizionario della pandemia, una delle parole che dovrebbe comparire è certamente “streaming”, vale a dire quel sistema per la trasmissione di segnali audio e video via Internet, che permette di ascoltare e visualizzare qualsiasi filmato senza doverlo scaricare sul proprio computer.
E’ una parola attorno alla quale nel mondo dello spettacolo si sono consumati sentimenti contrastanti, di timore, diffidenza, quando non di netta opposizione, poi di timida apertura, quindi di progressivo utilizzo, prima parziale, poi in modo pressoché generalizzato, quando non addirittura invasivo, cogliendone infine le reali opportunità, anche oltre la pandemia.
Le diverse posizioni hanno animato e continuano ad animare il dibattito tra gli operatori dello spettacolo dal vivo, spesso coinvolgendo anche il pubblico, a partire dal tema centrale: il rischio che la scelta e l’affermarsi dello streaming finisca con lo snaturare inevitabilmente quelle che sono le caratteristiche peculiari dellospettacolo dal vivo.
Come pensare di trasferire su una superficie bidimensionale quello che per sua natura è tridimensionale? Come pensare di eliminare la relazione ineliminabile tra attore e spettatore, sostituire la presenza in teatro, che per sua natura è socialità, con uno schermo da guardare in solitudine, rinunciando all’emozione del luogo, all’aprirsi del sipario, alla visione collettiva, agli applausi condivisi, alle chiacchiere nel foyer, ai commenti dopo lo spettacolo, sentendoci ogni volta più ricchi e anche un po’ più “intelligenti”?
È evidente che lo spettacolo dal vivo è insostituibile, così come evidenti sono i limiti dello streaming ma, con la chiusura dei teatri imposta dalla pandemia, l’alternativa era il silenzio, sullo spettacolo in generale, ma soprattutto il silenzio, davvero insopportabile, tra noi, gli spettatori, i palcoscenici, gli artisti e i territori.
È guardando a loro che abbiamo avvertito la necessità e l’urgenza di esserci con una nostra proposta pensata e organizzata per il web e, pur consapevoli dei limiti strutturali di ATER sul piano tecnologico e della nostra inesperienza in questo ambito, abbiamo deciso di operare una scelta pragmatica, intraprendendo questa nuova avventura, anche con i mezzi limitati di cui disponevamo.
È nato così il progetto Teatri nella rete, la rassegna di spettacoli in streaming alla quale abbiamo dato vita tra dicembre e gennaio, trasmessi in differita dai teatri gestiti da ATER: dieci palcoscenici all’interno di un palinsesto originale, pensato per raccontare il mondo del teatro attraverso una pluralità di linguaggi. La nostra caratteristica di Circuito multidisciplinare ci ha consentito di mettere alla prova ogni genere di spettacolo: danza, musica e teatro e agli spettacoli abbiamo deciso di affiancare altri momenti di approfondimento, come le conversazioni con gli artisti o le presentazioni dei luoghi e delle città, per consentire allo spettatore di avvicinarsi allo spettacolo avendo a disposizione maggiori strumenti di comprensione dei diversi contesti, all’interno e all’esterno del teatro.
Inutile dire che lo sforzo organizzativo complessivo che abbiamo messo in atto, in un periodo di profonda trasformazione interna di ATER sul piano giuridico e strutturale, è stato notevole, ma è proprio il caso di dire che la fatica è stata ampiamente ripagata. È a questo sforzo e alla collaborazione fondamentale con i teatri e le amministrazioni locali che si devono i risultati che abbiamo ottenuto sul piano delle visualizzazioni, oltre che dell’ottimo riscontro di stampa.
Ne dà conto più diffusamente il nostro Direttore, nell’articolo che segue, soffermandosi sul programma e sui teatri sede degli spettacoli. Nel suo articolo De Lellis richiama anche, in modo specifico, il successo ottenuto (70.000 visualizzazioni) da La Conta di Natale 2020, la miniserie in 24 puntate giornaliere di cinque minuti o poco più, ideata da Claudio Milani per i bambini in età 3-8- anni e trasmessa nei giorni dell’Avvento. Intorno all’autore, intervistato di seguito nella parte “Voce agli artisti” si è addirittura costituito un pubblico di fan, bambini e genitori entusiasti e riconoscenti, che hanno voluto incontrarlo di nuovo.
Così è nata La chiacchiera che conta, un incontro on line, al quale ho partecipato io stessa, insieme alla Prof.ssa Federica Zanetti, nella sua doppia veste di docente universitaria e membro del nostro Consiglio di Amministrazione. L’interesse di capire meglio il successo dell’iniziativa e la curiosità sulle modalità di restituzione alle famiglie di quanto avvenuto nei giorni de La Conta, che ci ha inizialmente accomunato entrambe, si è trasformato in realtà in un incontro di forte impatto emotivo, aprendo nuove riflessioni, quando non nuove prospettive di ricerca, come lascia intendere di seguito la stessa Zanetti.
Più in generale, l’esperienza realizzata on line con Teatri nella rete, proseguita poi con le lezioni sulla danza, aperte in via sperimentale a cittadini interessati, e ora con le scuole e gli insegnanti su varie tematiche di carattere culturale, ha spostato su un altro piano anche il tema dello streaming, consentendoci di coglierne le differenze rispetto al suo utilizzo, capirne meglio i limiti, ma anche le potenzialità.
Ci sembra di poter affermare che oggi il problema non è più “streaming sì o streaming no”, ma streaming come, quando, su che cosa, perché, con quali modalità, attraverso quali tecnologie e quale qualità delle connessioni alla rete.
Mentre aspettiamo con impazienza la riapertura dei teatri e di sederci nuovamente in platea, aspettando con inevitabile trepidazione che si alzino finalmente i sipari, non c’è dubbio che l’uso delle tecnologie apre nuovi spazi di riflessione, oggi solo all’inizio, su tutti gli ambiti che ne sono coinvolti: dal loro utilizzo nella costruzione delle scene e della drammaturgia, alle possibilità di visione degli spettacoli per un numero di spettatori impensabile fino a poco tempo fa, a livello locale, nazionale e internazionale, alle possibilità di un dialogo sempre più ampio con il pubblico, all’organizzazione di conferenze, fino alle ipotesi di corsi di formazione, per il personale di ATER, per quello dei teatri, per le scuole e gli insegnanti, ma anche per cittadini giovani e meno giovani interessati alle proposte che si possono elaborare.
Sono temi e riflessioni che hanno attraversato e attraversano anche l’uso delle piattaforme e dello smart-working, strumenti che hanno profondamente cambiato la nostra vita e il nostro modo di lavorare, strumenti dei quali abbiamo còlto i limiti, le costrizioni, ma anche le grandi potenzialità in termini di velocità delle comunicazioni, produttività del lavoro, riduzione dei costi, ma anche di partecipazione e confronto.
La pandemia, insieme alle sofferenze e alle frustrazioni che ha generato, ci ha costretto a fare i conti con la tecnologia e la sua pervasività, ponendoci di fronte a tutto l’insieme di riflessioni etiche, culturali, economiche, sociali che questo comporta.
Ci ha fatto capire che bisogna conoscerla meglio, che occorre avvicinarla con cautela, che può essere o meno di qualità, che serviranno norme e regole, tutte ancora da scrivere, per utilizzarla in modo corretto, ma ci ha fatto anche scorgere nuovi orizzonti e aperto grandi spazi d’azione, impensabili fino a poco tempo fa.
E questo, a ben pensare, non è cosa da poco.